Ricorderete senz’altro i famosi «Van der Graaf Generator», guidati da Peter Hammill, che nei primi anni ’70 ebbero un largo successo in Italia insieme ai Genesis e ai Gentle Griant. Ebbene, dopo il concerto d’addio del gennaio ‘78, come componente dei «Van der Graaf Generator», Peter Hammill ha continuato la sua attività solistica di cantore sempre alla ricerca di soluzioni della sua sete di sapere e dei perchè della vita. Peter Hammill ha da poco pubblicato il suo dodicesimo album da solista dal titolo «Patience», che è molto bello e soprattutto molto «vero». In questo mese di settembre Hammill sta nuovamente affrontando i palcoscenici italiani (Lugo, Modena, Peschiera del Garda, Mestre). Noi l’abbiamo ascoltato e intervistato a Lugo di Romagna (Ravenna) il 7 settembre scorso, in occasione del suo spettacolo.

Peter fa il suo ingresso con il fido amico Guy Evans (batteria – ex Van der Graaf) e con John Ellis (chitarra) che ha suonato anche con Peter Gabriel nel tour italiano dell’80. Peter, sorriso simpatico, si siede al piano elettrico, e comincia subito a creare quelle atmosfere a lui tanto care e a noi tanto note. Le sue composizioni sono intrise di rabbia, solitudine, gioia e tristezza. E’ un piacere essere qui ad ascoltare questo trentasettenne che sembra un ragazzino. La sua voce, da sola un universo musicale articolato e composito in cui è possibile trovare traccia dell’ispirazione di tutti i suoi lavori, è perfetta, capace d’essere modulata in ogni modo. La sua voce è vera, è il suo primo strumento, ti colpisce, è una delle più belle voci del rock in senso assoluto. Hammill esegue brani del periodo «Van der Graaf», «The Sphinx in the face» tra le altre, e ancora «In my room», «The Jarkon King», «Last frame», «The future now», e altre ancora ripescate da tutti i suoi precedenti album.

Il concerto si conclude con un bis molto sofferto e Peter Hammill, applauditissimo dai presenti, salutando in italiano, si allontana. Lo incontriamo subito dopo il concerto, ci invita a parlare  in italiano, parla la nostra lingua e la capisce molto bene. Peter, occhi blu-verdi, magro, sorriso sulle labbra incomincia dicendomi che «è sempre contento di suonare in Italia». Ed è così, tournèe dopo tournèe, che ha imparato la nostra lingua.

Nell’album Pawn Heart dei V. D. G. G. — gli chiediamo — di molti anni fa dicevi «Who am I ?» (Chi sono io?). Hai mai trovato una risposta? «Non c’è risposta a questa domanda. Se sei triste o felice non lo saprai mai».

Sei felice del tuo lavoro? «Abbastanza. Ho sempre lavorato. Mì piace molto lavorare e fin quando avrò forza farò sempre questo. Ma nella mia vita non c’è solo la musica, c’è anche la mia famiglia».

Hai amici nel mondo della musica? «No — risponde secco — Ognuno pensa sempre e soltanto a raggiungere il successo e a far emergere il proprio Io. E’ proprio un mondo impossibile».

Di che cosa parla il tuo album “Over” del 1977 ? «E’ per me un lavoro molto caro – risponde con un tono un po’ imbarazzato Peter – perché racconto la storia di un vero amore che sta finendo. Io parlo sempre di cose vere”

 Marcello Nitti © Geophonìe