BREXIT E NUVOLE

Nell’era della libera circolazione delle persone, merci, servizi e capitali, ai più giovani può apparire normale che l’esperienza del “viaggio in Inghilterra”, da evento spesso unico com’era in passato, sia divenuta ormai l’effetto di una frequentazione regolare e abituale, come un viaggio a Roma o a Milano. La ripetuta frequenza è un meccanismo che certamente produce, e inevitabilmente, quel senso di familiarità, appartenenza, identità che è alla base di ciò che con termine forse abusato, definiamo integrazione.

Per i più anziani, invece, abituati a stili di vita più risalenti, con un epicentro della propria vita solitamente stabile e fermo, “il viaggio”, quand’anche venga ripetuto in luoghi già conosciuti, è sempre un unicum, un’esperienza singola.

E’ una questione, forse, di mentalità, di approccio psicologico. Il luogo che si va e si torna a visitare rimane “altro da sé”, lo si osserva con lo sguardo lungo del tempo passato, con un maggiore senso di estraneità e alterità che i moderni cittadini d’Europa nel corso del loro pendolarismo hanno perduto, esattamente come capita a noi, allorquando nelle nostre città e nelle nostre piazze transitiamo indifferenti davanti alle statue senza più volgere lo sguardo a quei busti di Mazzini e Cavour, a Garibaldi a cavallo (“Roma o morte”), ai simboli della nostra più circoscritta identità.

Questo distacco, a dire il vero, probabilmente non costituisce sempre un benefico approccio per un’obiettiva valutazione del sistema-Europa, ma talvolta aiuta.

Ho avuto occasione di soggiornare a Londra molte volte, nel 1990, nel 1997, e poi nel 2011, 2012, 2015, e l’ultima volta nell’aprile appena trascorso di questo 2019. Ogni viaggio mi ha dato modo di registrare importanti cambiamenti, ma ha anche fortificato sempre più la mia convinzione per cui se un’Europa unita esiste, ciò dipende solo e soltanto da affinità culturali.

Non è stata la moneta unica ad unirci, né il mercato. Non è stata la globalizzazione, quella che ha riempito le nostre città di catene di negozi che ritroviamo esattamente identiche in tutte le città d’Europa, Zara, H&M, Pull&Bear, Starbucks, Calzedonia, Tezenis, Intimissimi, Yamamay, McDonald’s e tutte le altre.

Ciò che ho sempre constatato a Londra è che ad unirci è stata una cultura, quella che abbiamo sentito nostra, quella che è stata sprigionata potentemente dall’arte, dalla musica, dalla letteratura e dal complesso di valori che tutto questo patrimonio evoca.

L’immenso complesso di monumenti storici disseminati in tutta Londra e in tutta Europa, divenuto bene comune, è una rappresentazione dei conflitti tra i paesi europei che ha contribuito a rendere, perfino quelle contrapposizioni, parte di una stessa storia. Un francese a spasso nella Trafalgar Square, difficilmente nutre oggi rancore di fronte alla statua dell’Ammiraglio Nelson che sgominò Napoleone. E’ la storia comune dei nostri antenati, storia di famiglia, la famiglia europea, quella della battaglia della Marna, dello sbarco in Normandia, dell’unità d’Italia e della spedizione dei Mille sponsorizzata dai francesi e dagli inglesi, dell’armistizio italiano di Badoglio e dei suoi contatti con Churchill.

Noi italiani ci siamo sentiti europei a Londra più che in ogni altra città europea. Eppure ora proprio Londra, questa città che continua ad erigere monumenti in ogni sua piazza a testimonianza di un’adesione ad alti valori di democrazia e di convivenza, ed anche a memoria di grandi personaggi di altre nazionalità (Nelson Mandela, Abramo Lincoln, Mahatma Gandhi), misteriosamente decide di allontanarsi e prendere le distanze da un terreno comune, così faticosamente costruito.

Ho fotografato Londra durante tutti i miei viaggi, cercando ogni volta di catturarne quella vitalità, quel cosmopolitismo nel quale sono riusciti miracolosamente a convivere stili di vita internazionali e profonde identità britanniche.

Non sono stati gli stati nazionali ad avviare il processo di integrazione europea. Semmai, sono stati gli imperi sulla via del tramonto, sfiniti dai loro sforzi coloniali. Non è una coincidenza che la Germania abbia guidato questo processo di integrazione. La sconfitta del paese nella Seconda guerra mondiale è stata l’inizio della fine del colonialismo europeo. Altre potenze occidentali hanno seguito il processo di integrazione. Contenere i propri imperi era diventato troppo costoso, quindi hanno trovato i mercati europei e un’identità europea. Dagli anni Quaranta fino agli anni Ottanta, l’Europa si è ritirata dalle colonie per trovare sé stessa. L’Ue è il dolce atterraggio dopo l’impero. Le società che hanno combattuto due guerre mondiali e che hanno perso degli imperi estesi oggi hanno tra i tenori di vita più alti del mondo. Solitamente, il collasso degli imperi significa il collasso della civiltà. L’Europa è riuscita a fare l’opposto” (si legge su Il Foglio del 13/05/2019, citazione riferita allo storico Yale Timothy Snyder) .

Possono esservi interpretazioni diverse e opinioni discordi sulle ragioni di fondo alla base dell’odierna identità europea, ma che questa sia ormai immanente, pregnante tra le nostre strade e palazzi è di percezione comune.

Le strategie insondabili di una finanza misteriosa difficilmente possono da sole risultare decisive per sgretolare una cultura collettiva, che non è solo finanza, né solo politica, ma molto di più.

In una giornata piovosa ho provato a riguardare varie serie fotografiche da me realizzate a Londra dal 1990 ad oggi. Ne ho ricavato una documentazione di qualità amatoriale e “turistica”, ma forse utile a farci ritrovare luoghi della memoria, a liberarci dall’assuefazione che talvolta ci ha reso scontata la bellezza di cui abbiamo potuto godere, a farci riflettere su ciò che siamo.

Giuseppe Basile © Geophonìe

23/05/2019 – Diritti riservati.

Vai all’album fotografico The Colours of London